Ciclo di “Conversazioni in biblioteca” su Astronomia e filosofia. I filosofi e il cosmo: “La Rivoluzione Copernicana e l’infinito di Giordano Bruno”, a cura del Prof. Bruno Marano (Riccione, 14 Ottobre 2010 ore 21)

Ciclo di conversazioni in biblioteca su Astronomia e filosofia:

I filosofi e il cosmo

La Rivoluzione Copernicana e l’infinito di Giordano Bruno

Giovedì 14 ottobre 2010, ore 21

presso la Sala Conferenze Biblioteca Centro delle Pesa, viale Lazio n.10

a cura del Prof. Bruno Marano

L’ incontro previsto per giovedì con Bruno Marano, Professore di Astrofisica dell’Università degli Studi di Bologna sarà sul tema “La Rivoluzione Copernicana e l’infinito di Giordano Bruno”.
Copernico. Il nucleo centrale della teoria di Copernico, l’essere il Sole al centro delle orbite degli altri pianeti, e non la Terra, fu pubblicato nel libro “De revolutionibus orbium coelestium” (Le rivoluzioni dei corpi celesti) a Norimberga nel 1543, l’anno della sua morte.

Il libro è il punto di partenza di una conversione dottrinale dal sistema geocentrico a quello eliocentrico e contiene gli elementi più salienti della teoria astronomica dei nostri tempi, comprese una corretta definizione dell’ordine dei pianeti, della rivoluzione quotidiana della Terra intorno al proprio asse, della precessione degli equinozi.
La “rivoluzione copernicana”, scardina la concezione della “centralità” della terra – e quindi anche dell’uomo – nell’universo, rappresenta perciò il più sconvolgente mutamento culturale e religioso della storia dell’umanità e pone le basi dell’esplorazione dell’universo.
E sul tema “Giordano Bruno: l’universo infinito“. La filosofia di Giordano Bruno è caratterizzata dalla simultanea presenza di elementi moderni e tradizionali. La grande intuizione di Bruno fu di capire che il nuovo universo descritto da Copernico distruggeva tutti gli argomenti a favore di un universo finito.

La Terra non è più il centro dell’universo e non esiste alcun motivo per mettere il Sole al centro dell’universo. Un centro non esiste. Il Sole è una stella uguale alle altre infinite stelle che popolano un universo infinito. L’infinità dell’universo, l’esistenza di innumerevoli stelle e di altrettante Terre, è l’aspetto più moderno dell’opera filosofica di Bruno.

Bruno Marano è Professore di Astronomia e Astrofisica all’Università degli Studi di Bologna

Pagina Web Prof. Bruno Marano

 

 

 

 


Organizzato da:  Comune di Riccione – Biblioteca comunale
Quando: 14 ottobre 2010 – ore 21.00
Dove: Sala conferenze del Centro della Pesa
Info: Biblioteca comunale – tel.0541 600504 –
biblioteca@comune.riccione.rn.it

Fonti:
Comune di Riccione


Accreditato da CS-Comunicati Stampa

Berti Domenico – Giordano Bruno da Nola, Edizioni PiZeta, pp.456 – Ristampa della II edizione del 1889 (Novità 2010)


Berti Domenico – Giordano Bruno da Nola, Edizioni PiZeta, pgg.456 – NOVITÀ 2010

Pubblicata nel 1868, quest’ opera fu il primo lavoro organico dedicato a Giordano Bruno. Ne presentiamo la seconda edizione, del 1889, rispetto alla precedente notevolmente arricchita e ampliata, che contiene, insieme alla narrazione della tormentata vita del filosofo, una serie di documenti relativi ai suoi processi.
Di particolare importanza la puntuale ricostruzione delle sue vicende, dalla nativa e amatissima Nola al convento dei domenicani di Napoli da cui, lasciato l’abito, Bruno volgerà verso Roma, peregrinando poi per l’Europa attraverso Francia, Inghilterra, Germania, Polonia.
L’autore, accanto alla vita del filosofo, ne illustra il pensiero – formatosi sulle idee di Gioacchino da Fiore, del cardinale Nicola da Cusa, di Keplero, di Copernico e, soprattutto, di Raimondo Lullo – inserendo la complessa figura del Nolano nel contesto politico-sociale sul finire del Cinquecento, il secolo di quei mutamenti che aprirono la via al mondo moderno.

Domenico Berti (Cumiana, 1820 – Roma, 1897) fu uomo politico, filosofo e saggista. Dopo la laurea insegnò filosofia morale all’università di Torino e, dal 1871 al 1877, storia della filosofia all’università di Roma. Oltre a Giordano Bruno da Nola, scrisse numerosi altri saggi , in particolare intorno a Galileo Galilei, Giovanni Valdes, Cesare Cremonino, Tommaso Campanella.
All’attività didattica affiancò la politica: dal 1850 al 1894 (a eccezione della VI legislatura) fu deputato dapprima al parlamento subalpino e poi, dopo l’Unità d’Italia, al parlamento italiano, dove ebbe l’incarico di ministro dell’istruzione con il governo Lamarmora, e ministro dell’agricoltura e del commercio con il governo Depretis. Divenuto senatore nel 1895, si spense a Roma il 22 aprile di due anni dopo.

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L’Archivio Segreto Vaticano. Pregevole iniziativa editoriale.

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E il Khan ordinò al Papa: “Inginocchiati”
Dal processo ai Templari sino alle lettere di Pio XI a Hitler: un volume fotografico raccoglie il meglio e il curioso dell’enorme mole di documenti conservati nei faldoni della Santa Sede

Tra le battaglie che appassionano meno intellettuali e politici, c’è senz’altro quella in difesa di archivi e biblioteche. È comprensibile. Sottoscrivere un appello contro la mafia, per dire, fa una certa scena nonostante produca risultati incerti. Un appello per la salvaguardia degli incunaboli non avrebbe lo stesso appeal. Ogni tanto qualcuno lancia un grido di dolore, di solito Galli della Loggia, per una settimana i commentatori fanno un coro di cicale, e poi chi s’è visto, s’è visto. Mettere ordine nella secolare bolgia che affligge biblioteche e archivi, ovvero stilarne il catalogo, è incompatibile con i tempi della politica che vuole innanzi tutto risultati spendibili nell’immediato e quindi punta su tante belle inaugurazioni, frequentate da tanta bella gente armata di tanti bei prosecchini.

A volte però partono iniziative e vengono pubblicati libri che vorrebbero ricordare a tutti cos’è la cultura: conoscenza, rispetto e tutela del passato. Ad esempio, l’editore belga VdH Books pubblica in questi giorni un libro illustrato di pregio dal titolo L’Archivio Segreto Vaticano (pagg. 252, euro 49,9 in belgio e 59,90 euro in italia). L’Archivio Segreto Vaticano nasce intorno al 1610-1612 per evitare la dispersione dei documenti sulla Chiesa Romana. Ha avuto una storia travagliata, a dir poco. Ad esempio i faldoni della Santa Sede nel 1810 furono trasferiti a Parigi per ordine di Napoleone. Con danni irreparabili, basti pensare che i verbali del processo a Galileo sono probabilmente finiti in vendita nelle bancarelle lungo la Senna. L’Archivio potrebbe riservare numerose sorprese. L’intera documentazione ammonta a 84 chilometri lineari di scaffalatura, è divisa in oltre 630 fondi, ed è in continuo aumento. Il materiale copre un arco cronologico di un millennio.

Il volume in questione, oltre a mostrare con splendide immagini le zone riservate dell’Archivio, offre la riproduzione di decine di documenti accompagnati da brevi saggi specialistici. Ci sono carte che hanno fatto i manuali di storia: gli atti del Concilio di Costanza, quelli del Concilio di Trento, la bolla di scomunica di Martin Lutero, l’Editto di Worms, mappe e lettere relative a Giovanni III Sobieski, re di Polonia ed eroico salvatore di Vienna dall’avanzata turca (1683). Per venire a tempi più recenti, ci sono una lettera a Hitler di Pio XI e la bolla di convocazione del Concilio Vaticano II. C’è anche la ratifica del dogma dell’immacolata concezione, datata 1854, unico caso in cui un dogma non nasce per via storica (cioè dalle Scritture) ma dall’«approfondimento del sensus fidelium e del Magistero» (così Alfredo Tuzi nel saggio a catalogo).

Non manca il rotolo contenente il resoconto del processo ai Templari. C’è il sommario del processo contro Giordano Bruno. Ci sono gli atti del processo contro Galileo Galilei. Compare una pletora di umanisti e artisti in rapporti col Vaticano: Maestro Eckhart, Petrarca, Boccaccio ma anche Manzoni e Leopardi. Il milanese in cerca del permesso di poter leggere anche i libri messi all’indice dall’Inquisizione. Il recanatese in cerca di un lavoro presso la Curia al fine di fuggire una volta per tutte dalle grinfie del padre conte Monaldo. Tra gli artisti incontriamo contratti, pagamenti e progetti di Michelangelo Buonarroti, Raffaello Sanzio e poi Cellini, Bernini, Tintoretto e moltissimi altri.

Accanto a queste testimonianze fondamentali, si sono altri faldoni, a volte meno importanti, certo singolari. Tra i documenti antichi, c’è una lettera del Gran Khan Guyuk a Papa Innocenzo IV. Le cose erano andate così. Morto Gengis Khan, il pontefice aveva inviato in missione «al re e al popolo dei Tartari» il francescano Giovanni di Pian del Carpine. Il frate fu presente all’incoronazione di Guyuk, nipote di Gengis. A nome del Papa, chiese un accordo che risparmiasse i cristiani da conquista e sottomissione. La risposta giunta a Roma è questa: «Questo è un ordine inviato al gran Papa affinché lo conosca e lo comprenda. Tu in persona alla testa dei re, tutti insieme, senza eccezione, venite a offrirci servizi e omaggi, In quel momento noi conosceremo la vostra sottomissione». E al diavolo la diplomazia…
Quando furono scoperte le Americhe, si aprì una controversia: a chi appartenevano? La corona di Castiglia in particolare temeva la concorrenza dei rivali portoghesi. A tutto c’è soluzione. Secondo la concezione giuridica del tempo, radicata nel diritto medievale, il Papa era considerato formalmente «proprietario» del mondo intero in quanto rappresentante di Dio in terra. Toccò quindi ad Alessandro VI dirimere la controversia con la bolla Inter Cetera. La prima versione 1493, troppo filo spagnola, scatenò un putiferio. Ne fu redatta una seconda che fissava minuziosamente il discrimine fra sfere d’influenze.

E proprio dal Nuovo Mondo arrivò in Vaticano uno dei documenti più curiosi oggi conservati nell’Archivio. Nel 1887 Leone XIII si vide recapitare una lettera, vergata su corteccia di betulla, dagli indiani d’America. Gli Ojibwe dei Grassy Lakes (Ontario, Canada) scrivevano al pontefice, definito con termini della cultura indiana come «il grande maestro della preghiera», ringraziandolo per aver mandato un evangelizzatore. Altri dettagli interessanti: il testo è redatto in caratteri latini ma nella lingua di quel popolo (per essere compreso dovette essere ritradotto in francese); la datazione è «Là dove vi sono le Grandi Erbe, nel Mese dei Fiori». Mettere tutto insieme e avrete una toccante testimonianza di un’evangelizzazione che, secondo il precetto, in questo caso ha raggiunto una cultura diversa rispettandone l’identità.

di Alessandro Gnocchi
Fonte: Ilgiornale.it

Questa iniziativa editoriale è per tutti i gusti e (quasi) tutte le tasche, visto che ci sono 3 versioni dello stesso volume disponibili in 4 lingue diverse:
1) Quella “popolare” che ha un costo di euro 49,90 (59,90 euro nella versione italiana)
2) La versione “limited edition” in 50 esemplari che costa euro 399 (299€ in promozione sino al 30 aprile)
3) La versione “unique collectors’ edition” in 33 esemplari che costa euro 4950

Pdf con la lista dei documenti contenuti all’interno del volume

Pdf con le informazioni relative al volume

L’Archivio Segreto Vaticano

Autori
: Luca Becchetti, Luca Carboni, Giovanni Castaldo, Marcel Chappin, Giovanni Coco, Daniele De Marchis, Alejandro Mario Dieguez, Francesca Di Giovanni, Enrico Flaiani, Barbara Frale, Marco Grilli, Marco Maiorino, Aldo Martini, Sergio Pagano, Angelo Michele Piemontese, Luca Pieralli, Pier Paolo Piergentili, Giuseppina Roselli, Alfredo Tuzi, Gianni Venditti

2009
Copertina rigida
bound
30 x 30 cm
252 pagine

Disponibile in Inglese, Francese, Italiano e tedesco

ISBN 9789088810060
(Edizione Italiana)

Copertina relativa alla versione da 59,90 euro
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Foto relative alla versione da 399 euro
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Foto relative alla versione da 5000 euro
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L’Archivio Segreto Vaticano Libro di lusso

Edizione da 5.000 euro

L’Archivio Segreto del Vaticano ha sempre destato interesse da parte degli studiosi di ogni tempo, dei fedeli e di appassionati di storia e non solo. Ora la raccolta di pubblicazioni e documenti è diventata un libro edito dallo stesso Vaticano in collaborazione con VdH Books, in formato standard ed in edizione speciale di 33 copie che raggiunge il prezzo di quasi 5.000 euro a volume.

Questa limited edition vede ogni libro numerato, timbrato e certificato e comprende una visita agli Archivi Vaticani. Inoltre ogni pezzo si può personalizzare con una stampa su feltro cucito a mano con lacci in pelle e sigillata.

“L’Archivio Segreto Vaticano”, disponibile in diverse lingue, raccoglie testi e immagini a colori, che riproducono documenti che vanno dal IX secolo fino ad oggi. Tra questi la lettera di Pio X a Hitler.
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AGGIORNAMENTO 20-04-2010
Per info o per eventuali ordini del volume in italiano della VdH Books
potete scrivere alla Dott.ssa Luana Solla scrivendo a quest’email info@vdhbooks.com.

Giordano Bruno apre la Rassegna “Segnali da Altrove” (8-23 aprile 2010).

Rassegna “Segnali da Altrove”
dall’8 al 23 aprile 2010
sala consiliare della Provincia, corso Garibaldi PORDENONE

“SEGNALI DA ALTROVE” è una proposta di curiosità e di cultura: spesso fuori dal campo visivo abituale e/o necessario ci son tracce di vita, eredità dimenticate, nuove amicizie, buone opportunità…

La quinta edizione , “EPPUR SI MUOVE”
Nella varietà delle sue edizioni, “SEGNALI DA ALTROVE” è una proposta di teatro civile e sociale:
“Altrove” è sempre un “al di là”, rispetto a confini e barriere che bisogna abbattere, perché il bene più prezioso oggi è la condivisione.
Contro la solitudine, contro la paura e il senso di inutilità, a cavallo della meraviglia per l’Universo spiegato e inspiegabile.

8 aprile ore 18,30
LUMI E FIAMME
aperitivo eretico e proiezione del cortometraggio
EROICO FURORE
dedicato a Giordano Bruno

9 aprile ore 21
DIARIO DI UN NATURALISTA GIRAMONDO
testi di Charles Darwin
voci; Claudia Contin e Zlatko Kaucic

16 aprile ore 21
VITA DI GALILEO
di Bertolt Brecht
compagnia ariaTeatro
regia di
Riccardo Bellandi

23 aprile ore 17,30 e ore 21
CARO LUCREZIO
testi di Tito Lucrezio Caro
gruppo L’Officina del Corpo
del Liceo Leopardi Majorana

Fonte: atominofvg.wordpress.com

Nel nome di Giordano Bruno (di Margherita Hack)

Margherita Hack, a 410 anni dal rogo, sottolinea le grandi intuizioni cosmologiche di Giordano Bruno, che con Galilei e Keplero segna l’inizio della scienza moderna.
“Oggi, di fronte ai rinnovati tentativi di sottomettere la scienza alla fede, il coraggio di Giordano Bruno è l’alto monito della ragione contro il dogma”.
Fino dai tempi più remoti l’uomo si è chiesto cosa fossero le stelle e se esistessero altri esseri viventi. Talete (VII-VI secolo a.C.) pensava che le stelle fossero fatte della stessa materia della Terra e Anassagora (V secolo a.C.) riteneva che i semi della vita fossero diffusi ovunque nell’universo, Epicuro (IV-III secolo a.C ) credeva che esistessero infiniti mondi sia simili che diversi dal nostro, il suo contemporaneo Metrodoro diceva che ritenere la Terra il solo mondo abitato in uno spazio infinito è altrettanto assurdo quanto ritenere che in un intero campo seminato a miglio germini un solo granello. Ma a queste straordinarie intuizioni oggi confermate dalle ricerche astrofisiche, si contrapponeva il pensiero di Aristotele (IV secolo a.C.), il quale sosteneva che la Terra era il centro dell’universo, che non esistevano altri mondi, e che i corpi celesti erano fatti di una materia diversa da quelle componenti la Terra e situate su gusci concentrici: in basso la terra, poi l’acqua, l’aria e il fuoco.
L’autorità di Aristotele era grande ed ha influenzato il pensiero scientifico fino ai tempi di Galileo ed oltre, insieme alla rappresentazione del mondo fatta dalla Bibbia e ai dogmi introdotti dalla Chiesa. Fra l’altro Aristotele riteneva che poiché circolo e sfera sono le figure geometriche perfette, i corpi celesti potevano muoversi solo su orbite perfettamente circolari. Per far quadrare le osservazioni con il dogma, Tolomeo (100-170 d.C.) introdusse la teoria degli epicicli: i pianeti e il Sole orbitano su circoletti (gli epicicli) il cui centro descrive un’orbita perfettamente circolare attorno alla Terra. Anche Copernico (1473-1543) pur riprendendo l’intuizione di Aristarco (III secolo a.C.) che fosse il Sole al centro del sistema solare e non la Terra, rimase vittima del dogma aristotelico e mantenne gli epicicli complicando così il suo semplice sistema eliocentrico.
Alla fine del 1500 tre grandi personalità segnano l’inizio della scienza moderna basata sull’osservazione e sull’esperimento e non su astratti dogmi filosofici o religiosi: Giordano Bruno (1548-1600), Galileo (1564- 1642), Keplero (1571-1630).
Giordano Bruno era un frate domenicano, e fu uno dei primi in Italia ad accettare l’idea di Copernico che fosse la Terra a ruotare attorno al Sole insieme agli altri pianeti e quindi che non fosse il centro dell’universo attorno a cui tutto si muove. Ma le sue intuizioni andavano molto oltre. Infatti Giordano Bruno scriveva: “Esistono innumerevoli soli; innumerevoli terre ruotano attorno a questi similmente a come i sette pianeti ruotano attorno al nostro sole. Questi mondi sono abitati da esseri viventi”.
Una visione molto moderna dell’universo, che forse è infinito nel tempo e nello spazio, con un Sole che oggi sappiamo essere una comunissima stella fra altri trecento miliardi che popolano la nostra galassia – la Via lattea – e innumerevoli altre che popolano i miliardi di altre galassie. Oggi le nostre osservazioni confermano quanto intuiva Giordano Bruno. Molte stelle sono accompagnate da pianeti, il nostro sistema solare non è unico. Forse ogni volta che si forma una stella si forma anche un sistema di pianeti. Non sappiamo se esistono altri pianeti simili alla Terra, su cui si è sviluppata la vita, ma sarebbe assurdo pensare di essere un caso unico nell’universo, e forse un giorno riusciremo ad avere una conferma sperimentale dell’esistenza di altre civiltà extraterrestri, malgrado le spaventose distanze che ci separano.
Ma le idee di Giordano Bruno contraddicevano quanto insegnava la Bibbia; invitato ad abiurare queste sue eretiche idee fu mandato al rogo in Campo de’Fiori a Roma il 17 febbraio 1600, esempio di una grande mente e di un grande coraggio, per affrontare una morte atroce in difesa delle proprie idee.
Nel 1604 apparve una supernova, passata alla storia come la supernova di Keplero, perché egli l’osservò accuratamente per circa un anno, fino a che rimase appena visibile, determinandone, notte dopo notte, lo splendore, confrontandola con le stelle vicine. Secondo il dogma aristotelico i corpi celesti sono perfetti e immutabili e quindi la supernova doveva appartenere al mondo sublunare, cioè doveva essere più vicina della Luna. Galileo ne osservò la posizione da una notte all’altra e si accorse che essa restava immutata rispetto a quella delle “stelle fisse”, il che voleva dire che era molto più lontana della Luna, a una distanza paragonabile a quella delle stelle fisse.
Cadeva così il dogma aristotelico della immutabilità dei corpi celesti. Pochi anni dopo, nel 1609, Galileo, avuto notizia da un viaggiatore, che un certo olandese aveva inventato un “cannocchiale” che faceva vedere vicine le cose lontane, se ne costruì uno per tentativi. Ecco come Galileo li descrive nel Sidereus Nuncius: “E preparai per me, come prima cosa, un tubo di piombo, alle estremità del quale adattai due lenti vitree, ambedue piane da una parte, all’altra ne posi una convessa e una concava; accostando poi l’occhio a quella concava, vidi gli oggetti abbastanza grandi e vicini…”. E poi continua: ”Ma tralasciate le questioni relative alla terra, mi rivolsi agli spettacoli dei cieli, e guardai la Luna così da vicino, quasi come se distasse due raggi terrestri”.
Galileo vide che sulla Luna c’erano montagne e pianure, crateri come sulla Terra, e perciò non era quel corpo perfetto fatto di materia diversa da quella terrestre, come pensava Aristotele, era un corpo come la Terra. E riguardo alla Via Lattea Galileo scrive: “Ciò che in terzo luogo è stato da noi osservato è l’essenza della stessa Via Lattea, ossia la materia che, con l’aiuto del cannocchiale, può essere vista. Così che tutte le diatribe che per tanti secoli hanno tormentato gli studiosi vengono meno grazie alla certezza visiva e saremo così liberati da dispute verbose. La Galassia non è infatti altro che una congerie di innumerevoli stelle riunite insieme, infatti, in qualunque regione della Galassia tu diriga il cannocchiale, immediatamente una grande quantità di stelle molto fitte si offre alla vista; di queste molte sembrano grandi e molto visibili; ma la moltitudine di quelle piccole è del tutto inesplorabile”. Galileo continua osservando che ci sono molte altre zone biancheggianti che gli astronomi avevano chiamato Nebulose e che invece sono anch’esse agglomerati di stelle. Il 7 gennaio 1610 Galileo osserva Giove con un cannocchiale “davvero eccellente” e scopre vicino al pianeta tre stelline mai viste prima. Le osservazioni seguitano fino al 2 marzo, e Galileo scopre che le stelline sono quattro e orbitano attorno a Giove, come fa la Luna attorno alla Terra, e questa scoperta è la conferma per Galileo della teoria eliocentrica e scrive: “Riteniamo inoltre l’argomento del massimo valore per togliere ogni dubbio a quelli che accettano tranquillamente, nel sistema copernicano, la rivoluzione dei pianeti intorno al Sole, che però sono così turbati dal moto della sola Luna intorno alla Terra, mentre ambedue orbitano attorno al Sole in un anno, da ritenere che questa configurazione dell’universo debba essere respinta in quanto impossibile: ora infatti non abbiamo più un solo pianeta che ruota intorno ad un altro mentre ambedue compiono una grande orbita intorno al Sole, ma l’esperienza visibile mostra quattro stelle che ruotano intorno a Giove, come la Luna intorno alla Terra, mentre tutti, insieme con Giove, compiono in 12 anni una grande orbita attorno al Sole”.
Keplero, utilizzando le accurate osservazioni dei pianeti fatte dal suo maestro Ticho Brahe scopre che le orbite sono ellittiche e non circolari, come voleva Aristotele, e prende atto del risultato delle osservazioni e finalmente manda in pensione gli epicicli. Ricava così le tre famose leggi che regolano il moto dei pianeti: 1) I pianeti descrivono ellissi di cui il Sole occupa uno dei due fuochi; 2) i raggi vettori (segmenti ideali che congiungono il pianeta al Sole) descrivono aree eguali in tempi eguali (ne consegue che quando il pianeta è al perielio, il raggio vettore è più corto e quindi l’arco di orbita percorso è più lungo, perciò la velocità orbitale è massima; il contrario succede all’afelio), 3) il rapporto fra il cubo del semiasse maggiore e il quadrato del periodo è lo stesso per tutti i pianeti. I quattro satelliti di Giove scoperti da Galileo obbediscono alle tre leggi kepleriane nelle loro orbite attorno a Giove così come i pianeti nelle loro orbita attorno al Sole.
Galileo divenne aperto sostenitore della teoria copernicana e in una lettera alla Granduchessa madre, Madama Cristina di Lorena, scriveva che il fine della Bibbia era “d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo”. Nel 1616 la Chiesa dichiarava eretica la teoria di Copernico e Galileo fu ammonito a non sostenerla e divulgarla. Quando nel 1632 fu pubblicato il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, sebbene Galileo lo presentasse come una discussione su i meriti dei due modelli, apparve chiaro che era schierato a favore del sistema copernicano. Galileo fu accusato di eresia, convocato a Roma dal sant’uffizio fu minacciato di tortura. Galileo non aveva la vocazione del martire e abiurò ufficialmente,
dichiarandosi anche disposto a denunciare chi avesse creduto o divulgato queste teorie eretiche. Per questa sua pubblica abiura ebbe una pena mite, fu condannato agli arresti domiciliari nella Villa Il Gioiello, sulla collina di Arcetri, alla periferia sud di Firenze.
Oggi la Chiesa non contesta più i risultati delle scienze “dure”, fisica, matematica, chimica, ma ben diverso è il discorso quando si parla di biologia e quella pessima legge 40 sulla fecondazione assistita è il risultato dell’asservimento di gran parte della classe politica alle volontà del Vaticano.
È di qualche mese fa la dichiarazione del Papa sull’arroganza degli scienziati, ed è di questi giorni un nuovo attacco agli scienziati e alla scienza che ha l’arroganza di voler fare a meno della fede.
Forse va spiegato al papa che se la scienza ricorresse alla fede per spiegare quello che ancora non sa spiegare non sarebbe più scienza; che la scienza non pretende di spiegare tutto, ma tramite le osservazioni e gli esperimenti cerca di dedurre le leggi generali che governano l’universo, il nostro pianeta, gli esseri viventi. Cerca di ricostruire come dalla materia nelle forme più elementari si siano sviluppate le stelle, le galassie , i pianeti, gli esseri viventi, dai più semplici ai più complessi. Ci sono scienziati credenti, agnostici, atei, ma per tutti scienza e fede operano su piani diversi.
La scienza si basa sulla ragione, la fede o l’assenza di fede sono aspetti strettamente personali di ogni singolo individuo.
Margherita Hack

Fonte: periodicoliberopensiero.it

Mese Bruniano 2010 a Poggio Mirteto

Mese Bruniano 2010 a Poggio Mirteto – Intervento: “L’anomalia Giordano Bruno nel contesto filosofico occidentale ed il seme di conoscenza da cui il suo pensiero deriva”

”Ah, la libertà! Così preziosa ma così “cara” e per i più così utopica….” (A.B.)

La differenza sostanziale nell’espressione religiosa fra oriente ed occidente è che in occidente la religione si considera con un inizio ed una fine mentre in oriente essa viene riconosciuta come “eterna”, senza inizio né fine.

Il cristianesimo ed anche l’islamismo, infatti, sono religioni che prendono l’avvio con la nascita dei loro rispettivi profeti, Cristo e Maometto, e ci si aspetta che si concludano con l’apocalisse. In India, in Cina e nel resto dell’Asia, invece, lo Spirito viene dichiarato antecedente e successivo ad ogni manifestazione vitale ed allo stesso tempo esso è sia immanente che trascendente. Questa differenza di vedute porta ad una sostanziale differenza nella gestione del fatto religioso. In oriente non esistono strutture di potere riconosciute come legittime custodi della religione, ciò che è eterno pensa a se stesso. In occidente al contrario si presuppone che la religione debba essere controllata e gestita da nuclei di potere ecclesiastico, proprio in considerazione della sua finitezza ed imperfezione, e questo per “evitare” devianze o eresie dalla norma consolidata.

Forse l’esempio ideologico di un potere sacerdotale centralizzato derivò dalla figura di Mosé il quale riportò ordine e regole nella religione “madre”, regole fatte in seguito proprie sia del cristianesimo che dell’islamismo. Ma il potere centralizzato è soprattutto presente nel cristianesimo, formandosi nei secoli un diritto assodato del vescovo di Roma di gestire in modo autonomo ed assolutistico le cose religiose e mondane connesse al credo cristiano. Questo semplice fatto ha comportato una “cura d’interessi” personalistica pure nei fatti dottrinali e nel riconoscimento di santità od eresia. Ad esempio andò bene a Francesco d’Assisi che venne ad umiliarsi a Roma e perciò ottenne l’autorizzazione papale e successivamente anche il riconoscimento di santità.

Molto male, forse perché in quel periodo regnavano pontefici più gretti, andò al Savonarola od a Giordano Bruno che furono sacrificati sul rogo. Nel periodo storico in cui visse Giordano Bruno, in verità vi fu un certo fermento illuminista con Galileo Galilei che studiò il sistema solare e lo definì eliocentrico, oppure con Tommaso Campanella che si ispirò alla teoria neo-platonica per immaginare la sua “Città del Sole”. Purtroppo per Giordano Bruno la sua intuizione fu troppo grande e troppo incontrollabile per poter venir accettata dal papato, addirittura egli chiamò l’universo eterno ed infinito, senza centro né circonferenza. Una cosa del genere non poteva piacere ad un potere religioso che basava il suo essere sulla “finitudine, sulla limitatezza, sul peccato originale, sulla differenza fra Dio e creature, sulla necessità di un salvatore specificatamente indicato”.

Giordano Bruno fu troppo vicino nella sua espressione filosofica al “Sanathana Dharma”, all’eterna legge dell’essere e del non essere, ben descritta dai saggi realizzati dell’oriente… Ed allora che posto avrebbe avuto un papetto qualsiasi, un cardinaletto, un curato di campagna nel contesto di tale verità? Semplici figure immaginate e pretenziosamente costituite in veste istituzionale. Purtroppo l’abisso nel pensiero ed il rischio che questo avrebbe comportato alla continuità religiosa cristiana fu insormontabile per i meschinelli capi religiosi della cristianità (una religione per altro inventata a tavolino). Così fu necessario che Giordano Bruno fosse immolato sul rogo, nel tentativo di distruggere assieme al suo corpo martoriato anche il suo pensiero. Ma andò così? No, la verità viene sempre a galla e sia pur ancora calpestata e misinterpretata essa alla fine trionferà ed in realtà sta già trionfando, poiché il finito non può assolutamente condizionare l’infinito.

E’ stato perciò anche quest’anno organizzato un “mese Bruniano”, di cui la prima edizione si tenne a Viterbo lo scorso anno e che stavolta si tiene a Poggio Mirteto, in provincia di Rieti. In entrambi i casi durante il periodo stabilito viene allestita una mostra di arte sulla libertà di espressione.

Infatti così disse Giordano Bruno: “I filosofi sono in qualche modo pittori e poeti, i poeti sono pittori e filosofi, i pittori sono filosofi e poeti. Donde i veri poeti e i veri pittori e i veri filosofi si prediligano l’un l’altro e si ammirino vicendevolmente” Abstract dell’intervento di Paolo D’Arpini – circolo.vegetariano@libero.it

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Programma dell’inaugurazione del Mese Bruniano a Poggio Mirteto (Rieti), Sala della Biblioteca Comunale, 20 marzo 2010:

h 15,30 – Con la partecipazione della Banda Nazionale Garibaldina e alla presenza delle Autorità, inaugurazione della Mostra “Affreschi ed affrescatori” sul tema “Libertà espressiva nell’arte e nel pensiero…”

Affreschi ed Affrescatori è una manifestazione, giunta alla 5a edizione, organizzata da APAI – Associazione per la Promozione delle Arti in Italia – viene quest’anno promossa nell’ambito del Mese Bruniano 2010, per stabilire il valore della laicità e ricordare la figura di Giordano Bruno.

Partecipano gli artisti :
– Vincenzo Illiano con “Omaggio a Giordano Bruno” – acquerello
– Ruslan Ivanytskyy con “Don Chisciotte” – scultura in bronzo
– Tommaso Liuzzi con “Coagulazione sonora” – tecnica mista
– Luigi Lombardi con “Disobbedienza pacifica” – olio su tela
– Laura Lucibello con “Un Attimo nell’Infinito” – acquerello
– Pino Salvatore con “Il volo della libertà” – collage e tecnica mista
– h. 16.00 – Stessa Sede – A cura dell’ass. Libero Pensiero Giordano Bruno, con
l’ausilio di Università popolare Sabina Eretum e del periodico Mondo Sabino: – apertura della manifestazione ad opera del Prof. Osvaldo Ercoli, presidente della sezione di Viterbo e Rieti della associazione Libero Pensiero Giordano Bruno
– conferenza dibattito sul tema “Laicità nel pensiero di Giordano Bruno” . Relatore Dr. Nicola Cultrera, saggista. Partecipano: prof. Pietro Lasalvia, dr. Cesare Foschi, Paolo D’Arpini, Laura Tusa, avv.Gianfranco Paris.

– Dibattito e conclusioni
– Premiazione del vincitore del concorso per un saggio su Giordano Bruno indetto nel mese Bruniano 2009.

Paolo D’Arpini
Fonte: latuavoce.it

“Resoconto evocativo dell’infinità del pensiero di Giordano Bruno” – Inaugurazione del Mese Bruniano 2010 e della mostra Affreschi ed affrescatori di Poggio Mirteto (Rieti)

Il Mese Bruniano 2010 e la ricerca dell’infinito

Dopo il successo dello scorso anno a Viterbo anche questo marzo torna la celebrazione del Mese Bruniano, interamente dedicato alla memoria del grande filosofo e pensatore nolano.

L’evento inaugurale si è tenuto a Poggio Mirteto, un territorio in cui il ricordo di Giordano Bruno è molto sentito, dati i trascorsi storici del piccolo comune e dell’intera Sabina. Sin dall’età Medioevale in questa vasta area del centro Italia l’incontro, e lo scontro, con la realtà ecclesiastica e con gli “inconfutabili” dogmi della Chiesa è una realtà, e l’esperienza di Giordano Bruno, condannato e reietto dal mondo cattolico risulta più che mai legata alla storia di Poggio Mirteto e a quella dei nostri giorni.

La personalità di Giordano Bruno, complessa ed ironica, tenace e razionale, libera e stanca, mai è sembrata così attuale come in questo momento storico, in cui non c’è solo bisogno di ritrovare i propri valori, ma probabilmente di buon senso, di umanità. Umanità che in Giordano Bruno si scontra con i limiti del proprio tempo e con l’indifferenza dei nostri secoli. Il suo pensiero alla fine trova nell’azione, nemica della contemplazione che impedisce all’uomo di agire, fermo nei suoi dubbi e nelle sue paure, e nella fiducia nell’altro la consapevolezza che è possibile migliorare il proprio futuro.

Il Mese Bruniano è stato inaugurato il 20 marzo 2010, nella Biblioteca Comunale, dalla banda Nazionale Garibaldina della città, la prima banda della storia italica che si costituiva nel 1592, anno in cui, Giordano Bruno veniva arrestato dal Santo Uffizio e condannato per eresia.

All’esibizione dei bandisti, giovani e anziani bravissimi, è seguita una conferenza dibattito sul tema della “Laicità nel pensiero di Giordano Bruno” a cui hanno partecipato esperti e specialisti degli studi bruniani, a partire dal professore Osvaldo Ercoli, seguito da Nicola Cultrera, Pietro Lasalvia, Paolo D’Arpini, Cesare Foschi, Laura Tura e Gianfranco Paris. Senza dimenticare l’intervento dell’Assessore alla cultura Marco Vincenzi che ripone nei giovani e nel capire (forse meglio “superare”) il loro disagio, la speranza di un futuro migliore.

A fare da sfondo alla conferenza e alla banda di Poggio Mirteto erano le opere della mostra concorso “Affreschi e affrescatori. Libertà espressiva nell’arte e nel pensiero”, organizzata da Laura Lucibello, a cui hanno aderito Vincenzo Illiano, vincitore della scorsa edizione del mese Bruniano, Ruslan Ivanytskyy, Tommaso Liuzzi, Luigi Lombardi e Pino Salvatore. Le opere, dal forte impatto emotivo ed emozionale, hanno saputo cogliere quel nesso di consecutività, di attualità, tra Giordano Bruno e la storia del nostro secolo, con le sue guerre, le sue atrocità (V. Illiano, Non è sempre libero pensiero e T. Liuzzi, Coagulazione sonora) e con i suoi movimenti di ribellione, di disobbedienza, seppur brevi e quasi celati dalla cronaca e dai media (L. Lombardi, Disobbedienza Pacifica). In alcuni dipinti l’arte recupera invece i grandi temi, i grandi eventi (P. Salvatore, Il volo della libertà) e i grandi eroi della storia e del passato, come i paladini della giustizia, incompresi (R. Ivanytskyy, Don Chisciotte). Come via di mezzo tra il passato, greve dei suoi errori ma anche dei suoi valori, e il futuro da cogliere, da non sprecare, da vivere con ogni forza, si pone l’opera di Laura Lucibello, Un Attimo nell’Infinito (non in concorso), forse un invito a saper agire e a cogliere l’infinito.

Valentina Ierrobino
Fonte: circolovegetarianocalcata.it

«Galileo Galilei e quel testo che sconvolse il mondo»

Si è concluso con un “racconto” tutto dedicato a Galileo Galilei, “Codice Armonico”, il congresso di scienze naturali organizzato al Pasquini dall’associazione Amici della Natura di Rosignano e dal Museo di storia naturale. E non a caso la relazione di sabato è stata dedicata dal fisico Elvezio Montesarchio, che da alcuni anni vive a Rosignano, al grande scienziato toscano: «Il 13 marzo del 1610 – spiega il professore – Galileo Galilei pubblicò 550 copie del “Sidereus Nuncius”, il testo che ha segnato una nuova alba per l’umanità e che sconvolse il mondo». Lo scienziato vide, attraverso il “cannone-occhiale” ossia il cannocchiale da lui inventato, che la Terra non era fissa al centro dello spazio ma, come gli altri corpi celesti, si muoveva. «Sino ad allora la visione tramandata dalla cultura aristotelica-tolemaica vedeva la terra al centro dell’Universo; terra quale luogo della corruzione in contrapposizione con l’Universo incorruttibile, con le sue sfere celesti perfette, che si muovono in maniera concentrica».

Attraverso il suo racconto e grazie ad alcuni brani come la sentenza di morte di Giordano Bruno del Sant’Uffizio recitati, Montesarchio è riuscito a tenere in apnea la platea ipnotizzata dal fascino di quelle scoperte collocate in un ben preciso periodo storico, filosofico ed artistico. «Fin da ragazzo – ci ha detto il fisico che attraverso gli studi e il liceo classico ha coltivato la passione per la storia e l’arte – sono rimasto colpito dalla figura di Galileo. Da qui sono iniziate le ricerche che mi hanno portato a scoprire altri lati dello scienziato-matematico, come l’arte che lui aveva nello scrivere». E proprio attraverso gli appunti e i disegni di Galileo, è iniziato il racconto che ha catapultato gli ascoltatori in un’atmosfera di 400 anni fa, nel periodo della Controriforma, del Sant’uffizio che mise all’indice i libri giudicati proibiti, dei rapporti tra Galileo e Keplero che in risposta ad una sua lettera scrive la famosa frase “Galileo hai vinto”, fino ad arrivare al 1633, al tempio di Minerva in Roma, dove il grande scienziato fu costretto ad “abiurare” per avere salva la vita. Agli arresti domiciliari scrisse “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” che fu pubblicato solo in Olanda quando ormai Galileo era cieco. Poi la morte avvenuta l’8 gennaio del 1642, «con una particolarità – ricorda Montesarchio – l’anno in cui morì Galileo nacque Isaac Newton».

Fonte: lavaldicecina.net

Sidereus Nuncius A quattrocento anni dall’opera rivoluzionaria di Galileo Galilei

Il nuovo messaggio : dal Sole l’energia del futuro

Il 12 marzo 1610 ( qualche biografo come Andrea Battistini e studiosi assai quotati come la prof, Flavia Marcacci sostengono il 13 marzo 1610) a Venezia viene pubblicato dall’editore Tommaso Baglioni in 550 copie il ” Sidereus nuncius”, l’opera di Galileo Galilei che rivoluziona la concezione dell’uomo e della terra non più al centro dell’universo.
Alcuni studiosi hanno voluto cogliere nell’ambivalenza delle parole latine iniziali scelte da Galileo – nuncius è sia il messaggio che il messaggero- una sorta di autoinvestitura a messia scientifico e, ancora oggi, teologi conservatori lo rimproverano di arroganza quasi a giustificare gli errori compiuti dalla Chiesa nel condannarlo. Si veda a questo proposito il giudizio tuttora critico e severo verso questa corrente teologica di Antonio Beltran Mari.
L’anno scorso papa Ratzinger, in occasione del Convegno internazionale ” Dal telescopio di Galileo alla cosmologia evolutiva” ha riconosciuto che ” con questa scoperta crebbe nella cultura la consapevolezza di trovarsi di fronte a un punto cruciale della storia dell’umanità. La scienza diventava qualcosa di diverso da come gli antichi l’avevano sempre pensata. Aristotele aveva permesso di giungere alla conoscenza certa dei fenomeni partendo da principi evidenti e universali; ora Galileo mostrava concretamente come avvicinare e osservare i fenomeni stessi, per capirne le cause segrete. Il metodo deduttivo cedeva il passo a quello induttivo e apriva la strada alla sperimentazione. Il concetto di scienza durato per secoli veniva ora a modificarsi, imboccando la strada verso una moderna concezione del mondo e dell’uomo.”
Con Galileo assistiamo anche al passaggio dall’astronomia geometrica all’astronomia fisica. Lo sottolinea con chiarezza Nicola Cabibbo, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze :
” Tolomeo e Copernico consideravano l’astronomia una scienza geometrica, fu Galileo a intuire che si trattava di una scienza fisica, fatta di corpi reali che hanno un peso e una massa, come aveva anticipato in qualche modo già Giordano Bruno nella sua teoria dei multimondi, oggi di particolare attualità.”
Sidereus nuncius potrebbe essere tradotto in ” Annuncio, Notizia, Novella ( buona novella ?) che viene dallo Spazio” e la studiosa Marcacci fa notare che ” sidereus” oltre che celeste, puo’ significare “lucente”, “scintillante” : tutto questo sarebbe piaciuto a romanzieri come Herbert G. Wells.
Più aderente allo spirito galileiano è invece la traduzione-interpretazione di ” Messaggio, Rapporto sui Corpi celesti”. E in effetti il libro è un puntuale resoconto, supportato da calcoli, schemi e disegni, delle osservazioni compiute da Galileo con il perspicillum, il cannocchiale da lui messo a punto per la marineria di Venezia e, nelle lungaggini delle trattative ( ma su questa vicenda ci sono versioni storiche opposte), usato per perseguire una personale ” conoscenza più profonda” del cielo. Al centro della sua attenzione la Luna, Giove e i suoi satelliti più interni, la moltitudine di stelle e nebulose. Possiamo immaginare lo stupore consapevole di Galileo che “vede” la natura tormentata, imperfetta e rugosa della superficie lunare, dei piccoli pianeti che girano attorno a Giove: prove che fanno crollare la visione metafisica di un ordine incorruttibile del mondo.
Scienza e conoscenza
L’anno successivo Galileo studia le macchie solari, sempre più convinto che la “nuova scienza” debba indagare ogni fenomeno, prima di darsi una spiegazione. Certo la ragione umana usa codici, criteri e linguaggi che vanno anch’essi sottoposti ad una riflessione critica, qualcuno oggi direbbe relativizzati. Cosi’ possiamo assistere ad una modifica o addirittura ad un cambiamento dei paradigmi. Una novità che colpisce in modo particolare nella meccanica messa a punto da Galileo è quello della spiegazione del movimento accelerato come rottura dello stato precedente, attraverso una forza, un impulso che è un atto violento. L’ordine della natura non corrisponde più ad un modello totalmente idealizzato, ma piuttosto risponde alla materialità dei processi, alle energie messe in campo, alla interdipendenza e turbolenza dei fenomeni, alla verifica della ripetibilità e osservabilità degli esperimenti . Questa stessa impostazione in tempi più recenti è stata messa in discussione dal razionalismo critico di Karl Popper e dal suo criterio della falsificabilità.
Per Galileo Dio ha scritto il libro della natura nella forma del linguaggio matematico. Per questo la matematica e non la metafisica è capace di scoprire la struttura reale del mondo e del cosmo . Oggi sappiamo che questa identificazione tra verità e spiegabilità del mondo in termini scientifici è anch’essa una teoria più filosofica che scientifica innanzitutto perchè la scienza non è “la” conoscenza, ma solo una delle forme della conoscenza; poi perchè stiamo constatando che le stesse scienze moderne sono in continua evoluzione e le stesse osservazioni scientifiche hanno una loro teoricità e non riescono sempre ( o ancora?) a spiegare tutto !
La natura tormentata dei corpi celesti, sottoposti all’usura del tempo e alla violenza degli elementi ci parlano di vita e di morte. La luce e il calore del Sole sono decisivi nel determinare la storia evolutiva dei pianeti che gli girano attorno; sono ancora decisivi nel determinare le condizioni favorevoli per la nascita della vita sulla Terra, ma non spiegano ancora la nascita della coscienza umana. Il filosofo Levinas ha scritto ” il miracolo della creazione consiste nel creare un essere morale”.
Simplicio, Sagredo, Salviati oggi
Nell’opera più conosciuta di Galileo del 1632 “Dialogo sopra i due massimi sistemi, tolemaico e copernicano” Salviati, l’innovatore, si misura con le posizioni conservatrici di Simplicio. Mentre Sagredo rappresenterebbe oggi quella terzietà, possibile solo in un confronto sereno e non corrotto dalla sproporzione di quei condizionamenti mediatici e pubblicitari che stanno ormai trasformando l’opinione pubblica in tifoseria.
Infatti oggi le cose sono più complicate, soprattutto sul nucleare. Ma il Simplicio di oggi in fondo è ancora quello della maggioranza silenziosa, quello che delega ai Potenti di turno le scelte che riguardano il bene comune, quello che plaude alle grandi opere e, adesso che il mistero dell’universo è senza poesia, come si lamentava il cardinal Bellarmino, pensa che la modernità sia nella potenza della tecnica, militare o civile che sia.
Il Salviati di oggi, invece, sa che il metodo scientifico è quello di sottoporre a nuova verifica esperienze e teorie, esperimenti e interpretazioni , avendo anche il coraggio di ritornare sui propri passi. La libertà della scienza non significa onnipotenza della scienza; anzi l’uso della scienza dovrebbe risponde a criteri etici e filosofici che gli individui e le comunità si danno .
L’etica della responsabilità non è nemica, anzi si basa sulla libertà di coscienza; ed è anche libertà intellettuale di mettere in discussione paradigmi consolidati in vari campi e discipline se le conseguenze verificate mettono in crisi diritti umani, vita e ambiente, il futuro delle nuove generazioni. Per questo oggi mettiamo in discussione l’antropotecnica, vediamo i limiti dello sviluppo, critichiamo la mercatizzazione di tutti i valori, parliamo di sostenibilità sociale e ambientale.
Perspicillum come discernimento
Il perspicillum che Galileo comincio’ ad usare nel 1609 grazie agli esperti maestri vetrai di Murano, su informazioni provenienti dall’Olanda, era molto di più di un semplice innovativo cannocchiale: era una modalità nuova di guardare il mondo, interrogando il cielo senza risposte preconfezionate. Oggi il nostro perspicillum è apertura mentale, perspicacia e discernimento, ricerca e rimessa in discussione, pluralismo e confronto.
Se le energie rinnovabili trovano consenso diffuso e universale, perchè voler imporre ” questo ” nucleare che , almeno per una parte consistente dei cittadini, è incompatibile con la coscienza democratica ed ecologica che abbiamo maturato in questi ultimi decenni ?
Come ha sostenuto Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica ” non esiste ancora il nucleare sicuro, mentre le Centrali solari termodinamiche sono già in grado di fornire energia elettrica in modo stabile e continuativo, anche quando il sole è oscurato dalle nubi o è notte. Grazie a ricerche sui nuovi materiali e a tecnologie sempre più avanzate, siamo in grado di sviluppare la più importante fonte energetica che la natura mette da sempre a nostra disposizione, senza limiti, a costo zero e cioè il sole che ogni giorno illumina e riscalda la terra”.
Dunque la riscoperta del sole come fonte di energia rinnovabile, pulita e a portata di tutti appare davvero come il Sidereus Nuncius del nuovo secolo.

Marco Pezzoni

Cremona 12 marzo 2010

Fonte: welfarecremona.it

L’Acrotismo Cameracense di Giordano Bruno. Intervista a Barbara Amato, a cura di Lorenzo Ciavatta (Lo Sguardo – numero II, 2010)


L’Acrotismo Cameracense di Giordano Bruno

Intervista a Barbara Amato

a cura di Lorenzo Ciavatta

…Leggi l’articolo in PDF

Introduzione

La collana dei Supplementi di Bruniana & Campanelliana ha

recentemente accolto tra i suoi volumi l’ Acrotismo Cameracense curato da Barbara Amato; prima edizione in italiano del Camoeracensis acrotismus di Bruno.

La traduzione dell’opera, effettuata dal latino, obbliga a sottolineare la serietà e la preparazione con cui l’analisi del testo è stata condotta. La curatrice, privilegiando un metodo che si avvale tanto di strumenti filosofici che filologici, rende pienamente i significati dei termini considerando l’utilizzo effettuatone da Bruno; tale operazione si concretizza nella stesura di esplicative note al testo in cui vengono avanzate proposte di traduzione difficilmente opinabili.

L’ Amato, nell’introduzione dell’opera, presenta al lettore un’esaustiva sintesi delle tematiche che sorreggono l’impianto teorico dell’Acrotismo.

L’importanza di quest’ultimo, pubblicato a Wittenberg nel 1588 presso lo stampatore Zacharias Krafft, è presto chiarita con due precise osservazioni:

« Con un’esposizione rigorosa e serrata, l’Acrotismus racchiude in ottanta articoli la critica bruniana alla Fisica e al De coelo dello Stagirita, dando luogo ad un commento ‘in negativo’ che, seguendo fedelmente l’ordine dei testi, legge, interpreta e confuta in un’unica mossa i passi delle opere di Aristotele in cui si annidano i principali errori della sua filosofia naturale…]

[… Abbandonata la forma dialogica ed il volgare degli scritti londinesi, l’opera si presenta, dunque, come la prima enunciazione della fisica e della cosmologia bruniane nella lingua ufficiale della comunità scientifica internazionale, il latino, e nella forma privilegiata dalle discussioni accademiche: le tesi.»

[Acrotismo, pp. 11.]

Il testo tratta un tema fondamentale della riflessione filosofica di Bruno: la riabilitazione della fisica nei confronti della metafisica e l’individuazione del loro comune oggetto d’indagine nella Natura.

Per comprendere la rilevanza di una simile operazione concettuale si consideri questa breve riflessione:«Dopo aver elevato lo statuto epistemologico della fisica, svincolando il suo oggetto dalla dipendenza dalla materia sensibile, Bruno viene a sottrarre alla metafisica la possibilità di indagare sostanze trascendenti, separate nell’essere e nell’essenza dalla natura, le quali, soprattutto nell’interpretazione di Tommaso, costituivano l’oggetto specifico della metafisica. La separatezza degli oggetti della metafisica dalle sostanze della physis affermata da Aristotele viene letta, in questo luogo dell’Acrotismus, non come trascendenza ontologica, ma come distinzione logica e gnoseologica».

[Acrotismo, pp.22]

Fissato questo assunto fondamentale, in pochissime pagine si articolano dettagliatamente la critica al concetto aristotelico di vuoto, di movimento e di monstrum, la delicata questione della materia e della sua divisibilità, l’incommensurabilità del moto rettilineo con quello circolare, la definizione di spazio inteso come infinito ricettacolo; in altre parole il testo potrebbe definirsi come il manifesto della riflessione bruniana sulla Natura in contrapposizione con la linea peripatetica dominante nelle accademie. I capisaldi concernenti la fisica precedentemente espressa nei Dialoghi italiani vengono ripresi nell’Acrotismo, sviluppati e chiariti in attesa d’essere poi definitivamente sistematizzati nella trilogia di Francoforte.

Rispetto a quest’ultima l’opera, constatato il suo carattere fortemente anticipatore, sembrerebbe funzionare analogamente ad una chiave; strumento imprescindibile per comprendere nel dettaglio quelle nozioni, contemporaneamente metafisiche, geometriche e fisiche, che strutturano opere come il De minimo, il De monade e il De immenso.

Se l’accurato lavoro dell’ Amato fornisce primariamente gli strumenti critici e il materiale per ulteriori approfondimenti della filosofia di Giordano Bruno, secondariamente contribuisce a rendere un’immagine dello stesso decisamente più veritiera e storicamente contestualizzata rispetto a quella proposta da alcuni ambiti della critica. Il punto della questione può essere sintetizzato domandandosi fino a che punto sia legittimo definire un autore come “precursore dei tempi”. Non è infatti possibile nascondere che, all’immagine del Bruno “mago” proposta da Frances Amelia Yates, alcuni ambienti abbiano reagito in modo decisamente antitetico proponendo quella del Bruno “scienziato”.

Premesso che nel gioco delle possibili interpretazioni quasi tutto è

ammesso, sembrerebbe più confacente a rispecchiare una determinata realtà storica l’immagine di un Nolano intento a disfare teoreticamente, non certo per via sperimentale, il dominante impianto peripatetico all’epoca vigente nelle accademie; queste ultime così definite nell’Acrotismo:

«specialmente dove si hanno molte contese, molte confusioni, molte dispute, innumerevoli discordie, nulla di ordinato, nulla di chiaro, nulla di sicuro e dove, ad eccezione della comune denominazione, professione e scuola di provenienza, non vi è nulla di conforme. Quale indizio di falsità e cecità può mai essere maggiore di questa situazione in cui, a parte coloro che siano stati assoldati a pagamento o coloro che siano trattenuti dal timore di un danno, tutti contraddicono tutti, ognuno è da solo, nessuno approva nessun altro in nessun modo e perciò tutti sono stolti di fronte al giudizio di tutti, tranne che di fronte al proprio?»

[Acrotismo, pp. 50.]

L’invettiva di Bruno nei confronti della volgare filosofia, identificata con la corruzione dell’unica verità operata da un punto di vista metafisico/teologico dalla Chiesa e da quello fisico dai peripatetici/grammatici di cui le accademie traboccano, è costante in tutta la sua produzione; nello specifico contesto polemico dell’Acrotismo diviene elemento integrante del discorso, un appello a riscoprire concrete teorie fisiche da tempo cadute in oblio. Queste ultime si ritrovano puntualmente esposte nella sezione dell’opera intitolata Asserzioni pitagoriche e platoniche inaccettabili per i peripatetici che noi approviamo e difendiamo e, precisa la Amato in nota, le fonti cui Bruno attinge per queste ‘asserzioni’, oltre al Timeo e alle Enneadi, sono: Marsilio Ficino, Nicola Cusano e Cornelio Agrippa da Nettesheim.

Più che precursore di nuove teorie fisiche Bruno appare intento alla riscoperta e alla rielaborazione delle antiche, certo in modo meno riverente rispetto ad autori come Copernico, ma comunque lungi da quel sistema realmente scientifico che di lì a poco soppianterà il paradigma teorico/magico sostituendovi un metodo teorico/sperimentale fondato anche sull’utilizzo rigoroso, nonché apertamente criticato dall’autore dell’Acrotismo, di discipline come la geometria analitica e la trigonometria. D’altro canto già Koyré nel suo Dal mondo chiuso all’universo infinito diffida dall’etichettare Bruno come uno spirito moderno e dal riconoscergli valore in senso stretto come scienziato

[pp. 47].

Data l’importanza dell’opera e la serietà dello studio compiutone dall’ Amato ne consigliamo la lettura, fondamentale per gli “addetti ai lavori”, o per i semplici appassionati che si occupino del pensiero di Bruno.

Intervista

Il titolo dell’opera, Camoeracensis acrotismus, seu rationes articulorum physicorum adversus Peripateticos, nell’edizione da lei curata, è riportato come: Acrotismo Cameracense, le spiegazioni degli articoli di fisica contro i peripatetici. Quali le ragioni per cui ha preferito renderlo con il calco derivante dal latino piuttosto che scioglierlo con una locuzione della lingua italiana?

Come spiego nell’introduzione, il termine ‘acrotismus’ è uno dei più peculiari e oscuri neologismi che costellano la lingua di Bruno. Tra le interpretazioni formulate dalla critica, la più convincente appare quella di Tocco, che fa derivare il termine dal titolo greco della Fisica di Aristotele (Physike akroasis), con il significato di ‘conferenza’, ‘lezione’ sulla natura.

Com’è noto, infatti, la Fisica faceva parte delle opere acroamatiche, che servivano da supporto alle lezioni. Il testo di Bruno, nato dalla rielaborazione della conferenza accademica tenuta dall’autore nel 1586 a Parigi, presso il Collège de Cambrai, viene dunque presentato come una nuova lezione sulla natura che intende sostituirsi a quella di Aristotele.

Quest’ipotesi trova sostegno nella suggestione che Bruno potrebbe aver ricevuto dalla lettura del De revolutionibus orbium caelestium di Copernico, cui l’Acrotismo fa sovente riferimento. Nella prefazione al testo, dedicata al papa Paolo III, l’astronomo polacco, avverte il pontefice del contenuto rivoluzionario del suo libro, presentando la propria teoria sul movimento della Terra, come un discorso (‘akroama’) che potrebbe suonare decisamente assurdo rispetto all’antichissima e acclamata cosmologia geocentrica. La concezione di Bruno, al pari di quella di Copernico, è un discorso di netta rottura con la tradizione che viene sottoposto al vaglio e alla discussione critica della comunità scientifica del proprio tempo, con l’auspicio che un pubblico esoterico, notoriamente immune dai pregiudizi del volgo, possa riconoscerne la validità. L’aspetto polemico è suggerito anche dalla latinizzazione del termine greco che ne amplia l’area semantica, richiamando a livello fonetico il latino acer, acris con il significato di aspro, pungente, ma anche vivace, veemente, violento.

Il titolo dell’opera, coniato da Bruno a distanza di due anni dalla disputa del Collegio di Cambrai, evoca dunque l’acredine dell’orazione antiaristotelica e gli esiti tumultuosi in cui essa sfociò.

Data la pregnanza di significati del termine e con l’intento di valorizzare il neologismo bruniano, ho dunque preferito renderlo in italiano con il calco ‘Acrotismo’. Anche l’appellativo «camoeracensis», derivante da ‘Cambrai’, presenta ancora problemi esegetici. La sua collocazione nel titolo, tra «Iordani Bruni Nolani» e «acrotismus», rende ugualmente plausibili sia l’ipotesi che lo attribuirebbe all’autore sia quella che lo riferirebbe al titolo.

Nella versione italiana ho scelto di attribuirlo ad ‘Acrotismo’ e non al Nolano, per richiamare l’attenzione del lettore alla circostanza della discussione accademica svoltasi al Collège de Cambrai, da cui il testo ha origine. Di conseguenza, ho reso anch’esso con il calco.

Quest’operazione è stata anche favorita dalla presenza del sottotitolo, seu rationes articulorum physicorum adversus Peripateticos, che, esplicitando immediatamente l’argomento del testo, consente di non rinunciare a riprodurre la particolarità e l’incisività della lingua bruniana.

Nel testo originale l’orazione apologetica, che segue la lettera indirizzata da Bruno al rettore dell’università di Parigi Jean Filesac, è definita ‘excubitor’; come spiega la decisione di tradurre il termine con ‘nunzio del risveglio’?

Il termine è presente anche in altre opere bruniane, come ad esempio nell’Ars reminiscendi, dove troviamo la seguente espressione:

«Philoteus Iordanus Brunus Nolanus […] dormitantium animorum excubitor».

Dalle accezioni esaminate, risulta che con ‘excubitor’ (lett.: ‘sentinella’) Bruno intenda colui che, in opposizione alla moltitudine, non si conforma acriticamente alle opinioni diffuse del proprio tempo, ma mantiene uno spirito lucido e vigile che gli consente di discernere sempre il vero dal falso. Come una sentinella preposta a salvaguardia della verità, egli ha il compito di risvegliare la moltitudine dei ‘dormienti’ dal sonno della ragione, annunciando il giorno, l’inizio di una nuova epoca di luce e discernimento, contrapposta all’oscurità dell’epoca attuale. In più luoghi delle sue opere Bruno si presenta come ‘Mercurio’, ‘nuncio di Dei’, messaggero di una verità antica e divina, che deve aprire gli occhi agli uomini e inaugurare una nuova epoca. Una traduzione letterale in questo caso avrebbe vanificato la pregnanza del termine e svilito il ruolo di cui il filosofo si sente investito. Il termine ‘nunzio’ – non estraneo al lessico bruniano –, ha inoltre il pregio di evocare immediatamente l’idea di un messaggio rivoluzionario, con inevitabile richiamo al Sidereus nuncius di Galilei.

Nel I articolo, di quelli concernenti il primo libro della Fisica, Bruno

riprende le parole di Aristotele nell’intento di dimostrare come gli stessi peripatetici non abbiano compreso gli intenti dello Stagirita.

Quest’ultimo sosterrebbe che: «poiché la scienza verte sulla natura; poiché lo studio riguarda la natura; ciò sembra condurre a quella che è la conoscenza descrittiva della natura; perché per noi il procedimento dimostrativo ha ad oggetto la natura.»

[Cfr. Acrotismo, pp. 68].

Nel testo latino è possibile leggere ‘methodus’ invece di ‘procedimento dimostrativo’; quali le ragioni del cambiamento?

La critica della dottrina aristotelica condotta da Bruno nell’Acrotismo ha per obiettivo non solo la dimostrazione della falsità della filosofia della natura dello Stagirita, ma anche la denigrazione dei peripatetici, i quali non hanno saputo cogliere gli aspetti veritieri del discorso aristotelico. Le loro interpretazioni hanno dunque moltiplicato gli errori del maestro, contribuendo alla diffusione di una dottrina insostenibile, che ha smarrito anche le esatte intuizioni originarie. In particolare, il primo articolo dell’Acrotismo si sofferma su una questione epistemologica di grande rilevanza: la definizione dell’oggetto della fisica. Bruno concorda con Aristotele nell’identificare l’oggetto della fisica nella ‘natura’, e non negli enti fisici, come pretenderebbero i peripatetici. Soltanto la natura, infatti, in quanto sostanza immobile e indiveniente dei corpi, può essere sottoposta all’analisi scientifica, mentre i singoli enti naturali – particolari e mutevoli – sfuggono a qualsiasi tentativo di definizione e speculazione teoretica.

Essi possono essere colti da una conoscenza descrittiva, empirica (‘historia’), ma non dalla scienza, che, come Aristotele aveva correttamente inteso negli Analitici posteriori, è una conoscenza per

demonstrationem, ossia un sapere universale e necessario, frutto del procedimento sillogistico. In questo senso lo Stagirita aveva classificato i suoi libri di fisica come scienza della natura, distinguendoli dai suoi trattati sugli animali, sulla botanica, sulla meteorologia e sull’anima, definiti ‘historiae’. Trascurando questa distinzione terminologica, gli aristotelici avevano ridotto la fisica ad una conoscenza empirica degli enti naturali. Volendo esplicitare tale problematica epistemologica, ho ritenuto opportuno tradurre ‘methodus’ con ‘procedimento dimostrativo’, trovando un’ulteriore conferma a questa scelta nella prefazione del De revolutionibus orbium caelestium di Copernico, testo che – come ho già ricordato – risulta molto frequentato da Bruno.

In essa l’astronomo polacco, riferendosi a coloro che sostengono il geocentrismo aristotelico- tolemaico, afferma:

«in processu demonstrationis, quam methodon, vocant».

In più di una circostanza ha sottolineato l’importanza dell’opera in

relazione alla successiva trilogia di Francoforte pubblicata nel 1591.

Nello specifico, quali sono gli argomenti chiave dell’Acrotismo che contribuiscono alla comprensione dei tre poemi latini? Quali quelli che eventualmente subiscono significative revisioni ed ampliamenti?

Pur conservando la propria autonomia e originalità rispetto al resto della produzione bruniana, l’Acrotismo rappresenta una fase di elaborazione di alcuni temi fisici e cosmologici che verranno più ampiamente svolti nella trilogia dei poemi latini.

La letteratura ha evidenziato, ad esempio, come l’atomismo bruniano espresso nel De minimo trovi nello scritto di Wittenberg i suoi presupposti teorici. La critica alla divisibilità infinita della materia e della grandezza geometrica (art. XLII), così come l’affermazione che l’infinita sostanza universale sia costituita da «caos immenso o aria immensa o atomi infiniti» (art. VI), rappresentano le componenti embrionali della concezione discreta della grandezza corporea e geometrica. Aggiungo che l’Acrotismo non si limita ad anticipare semplicemente l’atomismo fisico e matematico, ma anche altri aspetti importanti della complessa teoria del ‘minimo’.

Mi riferisco, ad esempio, alla distinzione tra le qualità oggettive e le qualità soggettive della materia, che troviamo nel cap. X del primo libro del De minimo. Qui l’autore spiega mediante la struttura oggettiva della materia, formata da ‘minimi assoluti’- ossia atomi privi di qualità corporee e invisibili all’occhio umano – l’origine della materia sensibile, qualitativamente differenziata in generi, specie e individui naturali, ciascuno dei quali ha una ‘misura’ minima: «non può esistere un bue più piccolo del minimo bue, né una mosca più piccola della minima mosca». L’identificazione del minimo con la ‘misura’, che costituisce il nucleo centrale dell’opera, trova nell’art. XXI dell’Acrotismo la sua prima formulazione, laddove si afferma che ogni specie vivente è delimitata da un massimo e da un minimo, per cui «sono maggiori i vermi nei quali si corrompe la carne del cavallo che quelli in cui si corrompe la carne del passero». Questi minimi e massimi, che riguardano la materia percepibile, sono quindi relativi all’ambiente biologico in cui si sono sviluppati, al contrario dell’atomo che, come spiegherà il De minimo, è il fondamento ultimo e impercettibile del corpo e costituisce la misura assoluta della materia.

Anche la nozione di ‘termine’, che ha un ruolo determinante nella teoria del minimo, viene delineata per la prima volta nell’Acrotismo.

Questo aspetto, che nel De minimo verrà ampiamente sviluppato mediante il confronto con la discussione scolastica sugli ‘indivisibili’ e con la moderna trigonometria, trae dall’opera di Wittenberg (art. XXXVI) la sua definizione teoretica. Perché sia concepibile una materia costituita da parti indivisibili distinte l’una dall’altra, occorre che tra esse si interponga qualcosa che non sia né materia né estensione. Il ‘termine’ della grandezza viene qui concepito come un vuoto ‘disterminans’, inesteso, il quale non ha come lo spazio la funzione di accogliere i corpi, bensì quella di interrompere il continuum fisico. Esso non ha una natura fenomenica, ma è piuttosto la condizione di possibilità della distinzione tra i corpi.

Analogamente, la linea geometrica e il numero possono concepirsi come grandezze discrete solo in quanto tra i punti, così come tra le unità numeriche, si frappone una natura ‘neutra’ capace di distinguerli gli uni dagli altri.

I concetti di ‘luogo’, ‘spazio’, ‘vuoto’ e ‘tempo’ ricevono nell’Acrotismo un’analisi esaustiva dal punto di vista fisico, con un’argomentazione svolta ‘in negativo’ che, confutando passo per passo la Fisica aristotelica, rivela il pensiero bruniano. Questo emerge poi in modo esplicito nel De immenso, che ridimensiona lo stile polemico e inserisce il discorso in un orizzonte ontologico perfettamente coerente con l’analisi fisica precedente.

Nel poema latino l’invettiva viene deviata piuttosto verso i contemporanei e il discorso ‘sul cielo’ del trattato di Wittenberg si contestualizza nel dibattito cosmologico coevo, prendendo in considerazione le recenti scoperte astronomiche. L’Acrotismo rappresenta dunque non solo la rottura definitiva con la cosmologia tradizionale, non solo la radicalizzazione del sistema copernicano fino al suo dissolvimento in un universo infinito e omogeneo, ovunque abitato da sistemi solari simili al nostro, ma anche la fucina in cui cominciano a prendere forma le divergenze di Bruno dall’astronomia contemporanea, della quale viene rifiutato l’assioma fondamentale: la traduzione dei fenomeni fisici in leggi matematiche.

Nell’articolo XI della serie concernente il secondo libro della Fisica, Bruno suggerisce una definizione di astrologia, ottica e armonica come:

«parti della filosofia naturale, piuttosto che come discipline intermedie tra la speculazione fisica e matematica». Una prima domanda di carattere puramente tecnico concerne l’utilizzo dei due termini, indicanti due ambiti sostanzialmente diversi, nella presentazione e spiegazione del medesimo articolo; precisamente cosa potrebbe significare che nella presentazione compaia il termine astrologia e nella spiegazione il termine astronomia? Sempre nella spiegazione dell’articolo si parla di «numeri fisici» e «linee fisiche».

Come si connettono queste osservazioni con la serrata critica della trigonometria elaborata nei poemi latini? Nell’articolo XI, come in molti altri luoghi dell’opera, Bruno riconosce ad Aristotele l’intuizione di principi fondamentali dell’indagine naturale e, a maggior ragione, lo biasima per non averne dedotto le giuste conseguenze. Aristotele aveva correttamente ammesso che l’astronomia, l’ottica e l’armonia hanno ad oggetto linee e numeri, non in quanto astratti dalla materia e dal movimento, come nella matematica, bensì in quanto inseparabili dall’essere fisico. Da ciò avrebbe dovuto dedurre, secondo Bruno, che queste discipline rientrano nell’indagine naturale, mentre si limitò a considerarle come intermedie tra la fisica e la matematica. La rilevanza di questa critica diviene evidente alla luce della polemica bruniana, cui ho già accennato, nei confronti degli astronomi moderni che interpretano l’ente fisico secondo leggi matematiche. Com’è noto, Bruno intravede nella natura una varietà e mutevolezza tali da impedirgli di leggerla secondo l’esattezza e il rigore geometrici. Nell’Acrotismo la polemica contro le spiegazioni logiche e matematiche della realtà fisica, già in parte presente nei Dialoghi italiani, diventa un vero e proprio Leitmotiv, che si esprime in particolare nel negare ai pianeti una forma sferica perfetta e un movimento circolare uniforme.

Anziché una matematizzazione della fisica, constatiamo in Bruno una ‘fisicizzazione’ della matematica, che verrà definita nel De minimo mediante la concezione atomistica della grandezza geometrica, impedendo a Bruno di recepire i nuovi sviluppi della trigonometria. Riguardo all’uso dei termini ‘astrologia’ e ‘astronomia’, che qui sembrano intercambiabili, occorre precisare che Bruno conosce bene la distinzione degli ambiti delle due discipline (De compendiosa architectura, sectio III, cap. I), ma in diversi luoghi della sua produzione le classifica entrambe come arti o ‘muse’ attinenti alla sfera del quadrivio, insieme alla musica, alla geometria, all’aritmetica, all’ottica, alla pittura e alla ‘physionomia’, riconoscendo loro pari dignità epistemologica.

Nell’Acrotismo la posizione di Bruno al riguardo diviene ancora più distante dalla tradizionale suddivisione dei saperi, poiché, come ho detto, le arti che attengono ad oggetti fisici non possono rientrare nel dominio della matematica, ma vanno considerate come parti dell’indagine naturale.

All’epoca l’Acrotismo fu oggetto del caustico giudizio di Tycho Brahe:

«Nullanus nullus et nihil, Conveniunt rebus nomina saepe suis».

Il Nolano e l’astronomo danese, tecnicamente parlando, si trovano su posizioni completamente differenti; sostenitore dell’eliocentrismo il primo e di un sistema sostanzialmente geocentrico il secondo. Come ricostruirebbe il quadro storico della vicenda? Che effetto potrebbe aver sortito un’opera come l’Acrotismo, se mai la conobbe, su Johannes Kepler (peraltro assistente di Brahe nel 1599)?

Le prime reazioni suscitate dall’opera furono all’insegna di una netta e quasi unanime condanna, proveniente – contro ogni auspicio di Bruno – proprio dai rappresentanti di quel pubblico cui il testo era diretto: da una parte i filosofi francesi, dall’altra la comunità scientifica internazionale.

Già al Collège de Cambrai la lezione antiaristotelica aveva suscitato la riprovazione dei presenti, che avevano trovato il loro portavoce in Rodolphe Callier, un ex avvocato, esponente del partito dei politiques, che aveva abbandonato la sua professione per dedicarsi agli studi. Prima che la discussione si trasformasse in un tumulto, egli era intervenuto in difesa della filosofia aristotelica contro «le imposture e vanità di Bruno», che, anticipando il sarcasmo di Brahe, aveva rinominato «Jordanus Brutus».

La vicenda riguardante Bruno e Brahe, ricostruita dalla letteratura, mostra come Bruno avesse mal riposto la sua fiducia nella comprensione degli scienziati più innovatori del tempo. La dedica autografa, che il Nolano appose alla copia che inviò a Brahe, conteneva una dichiarazione di stima nei confronti dell’astronomo danese, le cui recenti osservazioni sulle comete e sulle novae costituivano, agli occhi di Bruno, una prova sperimentale della sua cosmologia. Il severo e sprezzante giudizio con cui Brahe, in una postilla all’esemplare donatogli da Bruno, ricambiò ingiustamente l’ammirazione del Nolano, venne riconfermato in una lettera all’astronomo tedesco Christoph Rothmann del 17 agosto 1588, in cui Brahe prende nuovamente di mira tale «Jordanus Nullanus», autore di uno scritto «de mundo contra Peripateticos» – l’Acrotismo, appunto -, esprimendo tutto il suo biasimo contro chi, come Bruno, Jean Pena e lo stesso Rothmann, sosteneva l’infinità, l’uniformità e la fluidità del cielo universale, a danno della gerarchia tra mondo celeste e sublunare, della quale Brahe era fermamente convinto. Non risulta che Bruno fosse a conoscenza della ‘stroncatura’ dell’astronomo danese, che il Nolano considerava un ‘collega’ o un alleato nella costruzione di una nuova visione del mondo.

Quanto a Keplero, pur non essendo accertata una conoscenza diretta dell’Acrotismo, è nota la sua presa di distanza nei confronti delle tesi più audaci della cosmologia bruniana, definita come «philosophantium insania».

Sebbene condivida con quest’ultima l’adesione al copernicanesimo, l’eliminazione della differenza tra mondo sublunare e regione siderea, la distinzione tra i corpi celesti che risplendono di luce propria (il Sole e le stelle) e quelli luminosi per luce riflessa (i pianeti e i satelliti), l’ipotesi di una vita intelligente in altri corpi celesti (Luna e satelliti di Giove), Keplero si scaglia contro la concezione di un universo omogeneo e senza limiti, costituito da infinite terre che ruotano attorno ad altrettanti innumerevoli soli, ribadendo, con argomenti astronomici e ontologici, l’unicità e la centralità del nostro sistema solare. Ciò gli consente di rimanere fedele all’antropocentrismo e alla gerarchia topologica del cosmo, tacciando di irreligiosità Bruno, che «aveva sostenuto la vanità di tutte le religioni, e aveva ridotto Dio al mondo, ai suoi circoli, ai suoi atomi».

Nella sua introduzione all’opera si sofferma sulla differente nozione di natura concepita da Bruno e da Aristotele e osserva come da una simile distinzione derivino concezioni del moto, ontologiche e antropologiche sostanzialmente eterogenee. Negli articoli XIII e XIV, dedicati agli argomenti del secondo libro della Fisica, si trova la sintetica e precisa confutazione della nozione aristotelica di mostro, alla cui base sta chiaramente una diversa concezione di natura. Quali sono a suo parere le implicazioni, di carattere generale e antropologico, di tale confutazione?

La divergenza fondamentale tra la fisica di Aristotele e quella di Bruno che emerge chiaramente nell’Acrotismo sta nella diversa concezione della natura, identificata dal primo principalmente con la forma e dal secondo con la materia. Ciò comporta una diversa spiegazione del movimento, che per lo Stagirita ha la sua ragion d’essere nella ricerca incessante da parte della materia informe del proprio atto, determinato da un principio formale ad essa estrinseco, mentre per Bruno consiste nell’esplicitazione della perfezione intrinseca alla materia stessa. La negazione del teleologismo aristotelico fondato sulle forme trova conferma nell’articolo XIII, riguardante la natura dei cosiddetti ‘mostri’. Per Aristotele, gli esseri mostruosi sono l’indizio dell’errore della natura che, a causa di qualche impedimento, non riesce a conseguire il fine per cui ha prodotto un certo ente e, così, le capita di generare, ad esempio, dei buoi con volto umano, fallendo nel realizzare la specie del bue.

Per Bruno è esattamente il contrario: i cosiddetti ‘mostri’ provano che la natura agisce correttamente in quanto non esubera mai dalle possibilità della materia nella quale opera. Ciò significa che la causa finale, ossia la perfezione degli enti naturali non è stabilita, come in Aristotele, dalla forma, ma piuttosto dalla materia, quale sua intrinseca necessità. L’errore, l’imperfezione possono ammettersi soltanto in senso relativo, dalla prospettiva del modo, dell’ente finito, che in tanto è imperfetto, in quanto non coincide con l’assoluto. Viceversa, dalla prospettiva della sostanza universale, non esistono errori né imperfezioni, perché i singoli enti e lo stesso movimento sono tutti identicamente espressione della necessità naturale (artt. XIV e XVII).

Per Bruno le forme non possono costituirsi come principio naturale,

né tantomeno come criterio di discriminazione tra ciò che è perfetto e ciò che non lo è, in quanto esse non sono altro che la manifestazione molteplice e transeunte della sostanza-materia. Dunque non c’è differenza ontologica tra forma e forma, tra corpi celesti e terra, tra ‘mostri’ e esseri ‘normali’, poiché non esiste un principio normativo estrinseco alla materia e alla necessità che la regola. Nella natura non vi sono dunque forme, gradi, gerarchie o luoghi dotati di una maggiore perfezione rispetto ad altri, poiché «nulla è a tal punto fine, da non tendere ad altro, ma piuttosto ogni cosa tende ad ogni altra vicendevolmente e, sotto diversi rispetti, ognuna è sia fine, sia per un fine, sia contro un fine» (art. XIV). Questa indifferenza sostanziale della natura, fondata sull’identificazione natura-materia, permette a Bruno di demolire il cosmo chiuso e gerarchicamente ordinato di Aristotele, e di affacciarsi ad un universo infinito in cui nessun luogo può esser centro più di quanto non sia periferia e tutti gli enti naturali – terrestri e celesti – possiedono un identico grado di perfezione.

Non solo. La nozione bruniana di natura prefigura una diversa e più ampia possibilità d’espressione della libertà umana. Da un lato, infatti, relativizzando il concetto di perfezione e di ‘normalità’, le tesi parigine demoliscono consolidati e ingiustificati schemi mentali a favore di una visione più comprensiva della realtà che dispone l’uomo ad un atteggiamento di massima tolleranza nei confronti della ‘diversità’.

Dall’altro lato, escludendo la possibilità di qualsiasi fine o senso assoluto dell’universo che non coincida con l’intrinseca necessità naturale, l’Acrotismo emancipa l’uomo dall’oppressione di un «plumbeo giudizio» e di «eterne Erinni», elimina i motivi di censura e di condanna di tutto quanto non corrisponda a fini prestabiliti da autorità filosofiche o religiose, creando in tal modo i presupposti teoretici per una piena libertà umana.

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Fonte: Lo Sguardo.net Rivista Elettronica di Filosofia Editore Alberto Gaffi – Numero II, 2010

Giordano Bruno, Acrotismo cameracense. Le spiegazioni degli articoli di fisica contro i Peripatetici, a cura di Barbara Amato, 2009, pp. 144

SUPPLEMENTI DI «BRUNIANA & CAMPANELLIANA» Diretta da Eugenio Canone, Germana Ernst Cm. 17,4 x 24,5 TESTI 7

Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma

Può apparire paradossale che un pensatore come Giordano Bruno, riconosciuto per la rivoluzionarietà delle sue idee e nemico dichiarato dell’erudizione e della pedanteria, attinga continuamente nei suoi testi alle diverse tradizioni filosofiche. I presocratici, Platone e i neoplatonici, Agrippa di Nettesheim, Lucrezio, Ficino, Cusano sono solo alcuni degli autori con i quali Bruno dialoga continuamente nelle sue opere, criticandoli o approvandoli, e comunque recuperandone, spesso implicitamente, lessico e categorie. Anche Aristotele e i suoi interpreti antichi e medievali, sebbene costantemente attaccati dal Nolano, fungono spesso da serbatoio concettuale del suo pensiero o persino da fonte d’ispirazione dei suoi neologismi, come il titolo dell’opera che qui si presenta, Acrotismus, nato dalla distorsione del titolo greco della Fisica di Aristotele (Physiche akroasis). Il Camoeracensis acrotismus (di cui questo volume presenta la traduzione corredata da un ampio apparato critico), pubblicato a Wittenberg nel 1588, segna una tappa fondamentale nella campagna intrapresa da Giordano Bruno contro il modello aristotelico del mondo: con un’esposizione rigorosa e serrata, l’opera racchiude in ottanta articoli la critica bruniana alla Fisica e al De coelo dello Stagirita, dando luogo ad un «commento in negativo» che, seguendo fedelmente l’ordine dei testi, legge, interpreta e confuta in un unica mossa i passi delle opere di Aristotele in cui si annidano i principali errori della sua filosofia naturale. Vengono così scardinati, l’uno dopo l’altro, tutti i principi della fisica e della cosmologia peripatetiche, con una ridefinizione puntuale delle nozioni scientifiche che li sorreggevano. La materia, l’infinito, il continuo, il movimento, lo spazio, il tempo, le leggi celesti, la gravità dei corpi ricevono dall’analisi bruniana una valenza radicalmente diversa, divenendo gli elementi costitutivi di un nuovo ordine fisico e cosmico. La nuova visione della natura e dell’universo comporta necessariamente l’adesione ad una diversa ontologia, antitetica a quella aristotelica, che ridefinisce anche il ruolo e la dignità dell’uomo nella natura e nella storia. Abbandonata la forma dialogica ed il volgare degli scritti londinesi, l’opera si presenta come la prima enunciazione della fisica e della cosmologia bruniane nella lingua ufficiale della comunità scientifica internazionale, il latino, e nella forma privilegiata dalle discussioni accademiche: le tesi. Il testo infatti trae origine da un dibattimento accademico svoltosi in un’aula dell’Università di Parigi, due anni prima della sua pubblicazione in terra germanica.

Sommario: Premessa. Introduzione. Nota al testo. Abbreviazioni e sigle. Giordano Bruno, Acrotismo Cameracense. Indice dei nomi.

Composto in carattere Dante Monotype.
Legatura in brossura pesante con copertina in cartone in tondo Magnani blu con impressioni in oro. Sovraccoperta in cartoncino Vergatona Magnani avorio con stampa a due colori e plastificazione opaca.

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